Vanno a ruba schede madri e schede grafiche utili a fare “mining” di bitcoin e altre criptovalute. Ma conviene farsi i bitcoin in casa?
Perché i Bitcoin valgono sempre di piùI bitcoin? C’è chi pensa che sia meglio farli in casa che comprarli, un po’ come con la pasta fresca. Aumentano sempre di più gli italiani che preferiscono fare da sé mining di bitcoin e altre criptovalute. E questo nonostante l’operazione, che ricorda il lavoro dei minatori, sia tutt’altro che economica e facile. Eppure secondo un’analisi di Pagomeno, il sito che confronta i prezzi dei negozi online, tra il 2016 e il 2017 c’è stata un’impennata di ricerche del +1.346% nella categoria computer e accessori.
“Il mining di criptovalute richiede componenti hardware molto evolute“, si legge in una nota di Pagomeno. Fondamentali sono le pci express e le schede madri. A gennaio di quest’anno le pci express sono diventate la terza sottocategoria più ricercata sul portale, rispetto alla posizione numero 23 di gennaio 2017, nonché le più ricercate nella categoria computer e accessori tanto da detenere il 33% dei click-out dell’intera categoria a gennaio 2018.
“Per capire ancor meglio il fenomeno “criptovalute” basti considerare che a inizio 2017 la propensione all’acquisto delle pci express valeva appena lo 0,5% di tutti i click-out, mentre a gennaio 2018 l’8%: una crescita del +4.646% rispetto ad inizio 2017“, si legge nell’indagine di Pagomeno.
Anche le schede madri hanno registrato un’impennata, arrivando a gennaio del 2018 a un +752% di propensione all’acquisto rispetto all’inizio 2017. Secondo Pagomeno, la bitcoin-mania degli italiani avrebbe anche fatto andare esaurite schede madri e schede grafiche usate anche per il mining, come le schede madri ASRock H110 Pro BTC+ e Asus B250 Mining Expert e le schede grafiche Sapphire Radeon RX 580 Nitro+ (11265-01) 2xHDMI 2xDP 8GB e Asus GeForce GTX 1080 Ti Strix Gaming OC 2xHDMI 2xDP 11GB.
Ma già lo scorso luglio sul blog della Kaspersky Lab era stato pubblicato un post che segnalava la penuria di schede grafiche, necessarie per “minare” le criptovalute. Le macchine che producono bitcoin usano infatti spesso gli stessi componenti utilizzati per i videogiochi.
Cos’è il mining? I bitcoin non si producono, ma si trovano come fossero pepite in una miniera, da cui l’uso del termine mining. Gli utenti-minatori ricevono dei bitcoin come ricompensa, mettendo la potenza computazionale del loro computer a disposizione della rete per validare e crittografare ogni bitcoin creato e convalidare le transazioni della blockchain. La potenza di calcolo è il vero costo vivo per la produzione di bitcoin, assieme a quello dell’energia elettrica necessaria per far funzionare le attrezzature di mining.
Nel corso del tempo tali ricompense si sono ridotte, seguendo l’andamento del mercato al rialzo delle criptovalute. E se fino a qualche anno fa per il mining bastava usare il proprio computer, oggi invece sono necessarie attrezzature molto più sofisticate. Si calcola addirittura che oggi un semplice computer possa farvi guadagnare appena 2 euro di equivalente bitcoin all’anno. Un po’ pochino.
La questione elettricità L’aumento del valore delle criptovalute nel tempo ha spinto un po’ di persone a tentare la via del mining, per ottenere i bitcoin senza assecondare gli sbalzi del mercato. In realtà non funziona proprio così. A parte il costo delle attrezzature, c’è da considerare quello dell’energia necessaria. Secondo Digiconomist, il mining di bitcoin costa al mondo 30,14 terawattora (TWh) di elettricità che è più del consumo di un paese come l’Irlanda per capirci. Molta energia è richiesta dalle ventole che devono far sì che l’attrezzatura non si surriscaldi durante il mining. Ma l’intero processo di per sé consuma tanta di quella elettricità, che con le tariffe italiane non conviene. Non è un caso infatti che miner esperti abbiano spostato le loro attrezzature in paesi dove l’energia costa meno che da noi. E complici il freddo e i costi bassi dell’energia in luoghi come l’Islanda o la Bulgaria non è difficile imbattersi in fabbriche di bitcoin e altcoin, anche di proprietà di italiani. Ma questa è tutta un’altra storia.