Una volta che i cookie di terze parti saranno gradualmente eliminati, non costruiremo codici alternativi per tracciare i singoli soggetti mentre navigano nel web, né li useremo nei nostri prodotti”. Lo ha dichiarato David Temkin, direttore del prodotto di Google Ads privacy, per ribadire l’impegno annunciato dal colosso di Mountain View a gennaio dell’anno scorso: eliminare nel giro di due anni i cookie di terze parti su Chrome e sviluppare all’interno di una Privacy Sandbox nuovi standard aperti per proteggere l’anonimato degli utenti. Il nuovo metodo raggiunto si chiama “Floc Api” (dove Floc sta per Federated learning of cohorts) e le prime sperimentazioni pubbliche partiranno nel secondo trimestre dell’anno.
Tra le parole di Temkin, tutto sta in quel “singoli”: la soluzione che Google vuole proporre per i test pubblici iniziali è basata sugli algoritmi di coorti, ossia gruppi con interessi e comportamenti simili sul web, all’interno dei quali poter “nascondere” gli utenti. “Comprendiamo che altri provider potrebbero offrire un livello maggiore di identificazione per tracciare la pubblicità nel web, ma non crediamo che tali soluzioni possano soddisfare le attese crescenti del pubblico per la privacy né che possano reggere le crescenti restrizioni normative e che quindi non siano un investimento sostenibile sul lungo termine”, osserva Temkin.
L’obiettivo, al tempo stesso, è continuare a fornire risultati per pubblicitari ed editori e secondo un paper di ricerca pubblicato da Google su Github, il metodo basato sulle coorti ha ottenuto un miglioramento dei risultati del 350% rispetto ai raggruppamenti casuali e del 70% nella precisione “ad alti livelli di anonimato”. L’azienda quindi non si unirà ad altre iniziative che puntano a un maggiore tracciamento dei singoli, come Unified 2.0, una soluzione open source basata su indirizzi email criptati per identificare gli utenti online che forniscono il loro consenso, in un sistema senza cookie, né LiveRamp, che attraverso una “soluzione di traffico autenticato”, propone di coinvolgere gli utenti nel controllo dei propri dati e dall’altro lato di dare la possibilità a brand ed editori di utilizzarli.
Fonte: Wired